venerdì, Aprile 19, 2024
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Di ragliatori, cicisbei e galoppini nauseanti

E’ doloroso quanto siamo circondati da giacche scure con cappi al collo e sorrisi finti.

In questi ultimi tempi, come spesso mi capita quando la malinconia e l’inconciliabilità con quel che è attorno mi assale, la mente spesso è tornata da Alexander Langer.

Alexander Langer

Alla sua straordinaria testimonianza di vita, alla sua mite e umanissima capacità di attraversare questo mondo, ai suoi scritti. Poi, rialzo la testa dal computer o dal libro, torno a guardarmi intorno e – come scrisse nel diario dei giorni nella Sarajevo assediata don Tonino Bello – viene una grande voglia di piangere. Perché non è solo terribile ma proprio doloroso quanto siamo circondati da giacche scure con cappi al collo e sorrisi finti come i doppi, tripli, forse addirittura, quadrupli giochi. Quotidianamente si svendono sul mercato dei più bassi interessi, calpestano qualsiasi cosa, capaci di dire menzogne e balle come se grandinasse, con una naturalezza da fare semplicemente schifo. Non esiste per loro rispetto, dignità, ideale, idea possibile. No, esiste solo il loro ego smisurato che si nutre di intrallazzi, doppie facce, alzarsi la mattina col solo desiderio di perseguire i propri meschini interessi e di ingannare l’altro. E viene tutto così normale che neanche ci fanno più caso. Se gli si fa notare s’incazzano e offendono persino…

Ormai diversi anni e vite fa, quando per la prima volta cominciai a guardarmi intorno e a interessarmi all’impegno sociale e civile (erano gli anni delle denunce contro l’uso dell’uranio impoverito nelle zone di guerra, della guerra in Serbia, della denuncia di questo sistema economico e della crisi che stava arrivando, e subito dopo della campagna “Pace da tutti i balconi”, di Rete Lilliput, della scoperta di Kimbau, a Pescara e Chieti della Rete Nonviolenta Abruzzo e tanto, tantissimo altro ancora…) mi fu detto di godermi quegli anni perché sarebbero passati presto, perché 18 anni (forse era ancor prima, non ricordo) è l’età delle passioni forti, dell’idealismo, dell’innamorarsi dell’utopia. Poi, crescendo, si diventa razionali e moderati e, un po’ alla volta, si mette tutto nei cassetti per “diventare grande”. Tanti anni dopo, se non fosse che non ricordo neanche chi era, mi piacerebbe rivedere chi mi disse queste cose per replicargli: “mi hai detto una grandissima cazzata!”. Perché, se dovessi guardarmi indietro posso trarre una sola conclusione: “a quasi 32 anni sono ancora più idealista, ingenuo, sognatore, immaturo (seguendo il suo metro) di allora. Non soltanto non ho abbandonato quei sogni e quegli ideali di ragazzino, ma si son rafforzati e ormai sono compagni di cui non potrei più fare a meno. E in questo la testimonianza, gli scritti, il travaglio, i dolori di quel politico impolitico che – “ha avuto il coraggio di guardare alla presenza umana sulla terra e alla convivenza fra persone e genti diverse con una intelligenza profonda e una generosità di sentimenti che i tempi stretti e la selezione al ribasso della politica di norma escludono” – sono stati bussola fondamentali. Perché Alexander è la dimostrazione che si può, che si deve, che non è vero che non si può fare a meno di chiudere tutto nei cassetti e arrendersi allo schifo che ci circonda. Perché non è obbligatorio “accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più” ma è possibile rimanere coerenti e sinceri e “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

E su questa “selezione al ribasso”, nel giorno della “Festa della Repubblica” e a pochi giorni dalla consultazione elettorale preceduta dalla peggior campagna possibile, non posso non scrivere che il voto non è un contratto di matrimonio, non è un giuramento di fedeltà a nessun sovrano, che chi vota non si obbliga a tacere ma anzi ha l’obbligo di dire, gridare, urlare, denunciare quel che poi non condividerà. Che non si vota per ordini dall’alto, interessi di clientela e di bottega, che esiste e si può praticare un voto che non si ingabbia nella selezione al ribasso, che non è un atto di cortigianeria e l’inizio del passivismo yes-man. Oggi più di ieri, più dell’altro ieri, più di 5-10 anni, più di quel giorno in cui mi fu detto “tanto un giorno i sogni li lascerai nel cassetto e diventerai grande” che gli ideali, l’umanità vera, sincera, coerente non posso, anzi non si devo e non voglio, abbandonarli. Che mi danno e mi daranno sempre nausea gli scudieri, i lacchè, i galoppini, coloro che vivono e sguazzano nella mediocrità di una vita senza slanci e senza interessi che non sia la cieca obbedienza, lo stare zitto perché non ci si mette contro, che un giorno potresti aver bisogno di andargli a chiedere (leggasi implorare) un favore, che può trovare un lavoretto a te o a qualcuno della famiglia. Passivisti del “pronismo” ma non vi viene mai un mal di schiena, mai un colpo della strega, no?

Non è una questione di fare il duro e puro o il talebano (come qualcuno mi disse anni fa…). Ci si sporca eccome. Ma a 32 anni le mani non riesco a non sporcarmele se non perché – e qua torna anche Alexander – credo che questo mondo dobbiamo cercare di lasciarlo meglio di come l’abbiamo trovato, dobbiamo impegnarci a saperlo riparare, che la sofferenza (come canta Dé Andre) degli altri non è “un dolore a metà”, che nell’inferno si trovano ancora bagliori di paradiso, che non “serve vivere se non c’è il coraggio di lottare”, di credere un qualcosa, di avere il cuore vivo e in fiamme ogni santissimo giorno. È facile? No, perché ogni giorno ha la sua croce, ha le sue “attese frustrate e le delusioni che inevitabilmente si accumulano” e aumenta “la distanza tra ciò che il cuore brama e ciò che si riesce a compiere”, la nausea e il peso di non saper “essere felice” come chi si accontenta di quel che lo circonda, che impara a girare la testa da dove non conviene vedere e che non ha altra preoccupazione se non i “fatti suoi”. Quando si è rompicoglioni e fottuti idealisti “mai cresciuti” si può rimanere soli, ogni giorno si è indignati, incazzati, si ha il cuore colmo di tristezze, di dolori, non si riesce a non piangere davanti a tante, troppe cose. Non si trova mai pace, si è sempre fragili e inquieti. Arrivano sempre i momenti in cui ci si domanda “ma chi te lo fare?” “ma perché sprecare ancora energie?”. E la risposta non è che ci si sente migliori di altri, anzi ci si sente sempre, totalmente, completamente inadeguati e scontenti, incapaci e con “qualcosa che manca”. Ma, molto più semplicemente, mi hanno disegnato così e non so vivere diversamente.

Mi verrebbe quasi da scrivere beati voi che vivete sereni coi vostri cappi al collo, giacche scure e sorrisi finti, che a 20-25 anni già vi sentite realizzati perché v’hanno dato qualcosa e sapete vendervi bene, che avete sempre qualche “santo” a cui votarvi, che vi accontentate di poco e avete sempre la risposta a tutto, che sapete tacere davanti a qualsiasi cosa e ingurgitare. Ma a voi che convivete con il falso e la menzogna, che avete l’ego ormai da TSO non potrò mai dirlo. Perché sono un povero fallito, un fottuto idealista che ogni giorno ha il suo calvario, che probabilmente se le cerca e non ha capito nulla. Ma almeno posso guardarmi allo specchio senza avere nausee.

 

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