sabato, Aprile 20, 2024
-rete-CronacaInchiestePeriferieSocietà

Balbettii di un ministro a sua insaputa

E Alfano mormorò: non passa il pistolero

“A Napoli dobbiamo far tacere le pistole”. L’ha detto con solennità il Ministro dell’interno Angelino Alfano in occasione – la settimana scorsa – di una delle tante riunioni del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica tenutosi in Prefettura a Napoli.

Parole ferme seguite dall’annuncio dell’invio di quattrocentoquaranta poliziotti, della quasi messa a punto della video sorveglianza, della sensibile diminuzione dei reati predatori e di un impegno serio dello Stato contro la criminalità organizzata. Amen.

Trascorrono poche ore dal ritorno a Roma del capo del Viminale e i gruppi di fuoco della camorra, noncuranti di summit e vertici, massacrano tre giovani a pistolettate in altrettante strade della città. Esecuzioni di efferata crudeltà. Avvertito dell’escalation, Alfano ha giocato la carta dell’esercito, dimenticando che già sono in corso operazioni di controllo del territorio da parte dei militari. 

A Napoli si combatte da anni una guerra strisciante, a bassa intensità, con improvvise fiammate di atrocità ma sono in pochi ad accorgersene. C’è assuefazione, abitudine, riduzione omertosa del danno. Le istituzioni sono sbiadite, i loro rappresentanti poco credibili. Nell’agenda del Governo Renzi e prima di lui, alla voce “contrasto alla camorra” Napoli non compare. Le vicende partenopee sono lastricate da corsi e ricorsi storici, di ciclica trama pulp, mai affrontate nel verso giusto. Manca una lettura della complessità dei fatti.

Lo Stato, confortato dalle relazioni semestrali degli inquirenti e dalla ricognizione degli uffici giudiziari, percepisce la camorra come instabile, senza regole, con repentini cambi di leadership e la liquida come un fastidioso e generico problema di ordine pubblico con radici antropologiche. Una foto in bianco e nero dove i dettagli restano nascosti.

C’è un incendio nel ventre del centro storico della metropoli all’ombra del Vesuvio, le lingue di fuoco si espandono fino alle periferie e da qui ai comuni dell’hinterland. Un conflitto sotto traccia che coinvolge ampi strati della popolazione coinvolgendo perfino quei ceti ritenuti lontani dalle logiche e dalla cultura dei clan. E’ un vivere gli uni accanto agli altri, appiccati, i buoni con i cattivi. C’è un mischiarsi, un sovrapporsi l’uno all’altro e viceversa. Un prisma dove la luce si scompone in tanti riflessi dalle particolari sfumature per ricomporsi in indistinti colori. Un ginepraio, un labirinto, una matassa: ipotizzarne soluzioni salvifiche e sbrigative annunciate in pompa magna dà il nonsense degli eventuali provvedimenti messi in campo governativo.

A Napoli ci si abitua sempre, adda passà a nuttata. E’ una città che ha imparato a mettere di lato le sofferenze. Non si guarda più dentro. Il lutto è ininterrotto, non elaborato. E’ stato quasi sempre così. Anche questa volta. Sono migliaia i morti ammazzati nelle varie guerre di camorra esplose negli anni. Tra loro tanti innocenti. Napoli così muore. Occorre fare presto, con serietà e generosità. Il piano repressivo già esiste. Gli arresti, i processi, le condanne sono da record. Napoli è un modello di efficienza investigativa e giudiziaria. E’ la sua pelle infetta.

Bisogna starci accanto a questa città, viverla, soccorrerla usando fermezza e non pietà. Lasciando cadere gli alibi e ricacciando con sdegno le attenuanti. Inutile girarci attorno. La sfida fa tremare i polsi. Chi non se la sente può andare via. Gli indifferenti o meglio quelli che pensano solo ai cazzi propri non servono. È l’ora di guardare il mostro negli occhi, è l’ora delle verità. Ripensare alla propria storia millenaria. Un sussulto di popolo per rimboccarsi le maniche e accettare la sfida. Agire nell’anima della città e curare le sue ferite.

Penso all’obbligo scolastico, al sottrarre i minori dalle famiglie con pregiudicati, al mettere in campo politiche di inclusione sociale, all’elaborare progetti di sostegno sul medio e lungo periodo, alla bonifica dei quartieri e delle periferie, all’asciugare la disparità delle tante città dentro la città, al contrastare la povertà con iniziative forti. Restituire dignità e futuro. Sono linee d’intervento, spunti per una riflessione allargata. La meglio gioventù partenopea ha diritto a vivere. La cronaca non dev’essere più nera. Basta volti devastati, corpi deturpati dal piombo delle armi, pallottole vaganti come pioggia. A Napoli le armi devono tacere, davvero. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *