giovedì, Aprile 25, 2024
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Alcamo: epidemia di bombe

Nella geografia crimi­nale siciliana la zona di Alcamo è strategi­ca 

E’ una zona cuscinetto, un’area che sta a metà tra i mandamenti mafiosi storici di Palermo e Trapani, che ha avuto sempre regole sue, godendo di uno stato di “terzietà” rispetto agli af­fari mafiosi. Non è un caso che tra Ca­stellammare ed Alcamo abbiano trova­to riparo fior di latitanti, da Brusca a Messi­na Denaro e che in tempi non lontani ci siano stati gli episodi più vio­lenti delle guerre di mafia che hanno caratterizzato la storia di Cosa nostra. 

Il 2013 qui è cominciato con un’escala­tion di attentati incendiari a case di im­prenditori, auto, abitazioni estive. Con il corredo di soliti avvertimenti: bottiglie incendiarie davanti casa, mazzi di fiori, etc. “E’ come se d’improvviso fosse mu­tato qualcosa – dicono gli investigatori -, come se ci fosse una nuova banda in azione, che vuole farsi conoscere, impor­re il suo pizzo”.

Sono soprattutto le aziende edili ad es­sere state colpite. Il 2 febbraio hanno in­cendiato un escavatore di una impresa di movimento terra. Pochi giorni prima un altro attentato incendiario, sempre a dei mezzi di un’impresa edile. E poi ancora fiamme ad alcune auto, gomme tagliate, danni alle carrozzerie ad altri imprendi­tori e professionisti. Tutto in serie. Con un’escalation incredibile nelle ultime set­timane.

Il clima ad Alcamo e Castellammare è teso. Dopo l’ennesima intimidazione, un centinaio tra commercianti ed imprendi­tori hanno sfilato in corteo ad Alcamo per dire no al racket.

Il loro stri­scione era chiarissimo: “Al­camo unita contro il racket”. Anche il Sindaco di Ca­stellammare, Marzio Bre­sciani, si è fatto sentire: “Questa comuni­tà non è più di­sposta a tollerare i continui atti di qual­cuno che persegue fini crimi­nali – ha det­to – . E’ inconcepibile ed inaccettabile che si voglia portare questa città indietro nel tempo”.

Già, indietro nel tempo. In questi mo­menti a molti viene in mente la storia di Gaspare Stellino. Era titolare di una tor­refazione nel centro di Alcamo. Taglieg­giato, fino all’osso.

Il 12 settembre del 1997 Stellino si im­picca nella casa di campagna. Lo stesso giorno avrebbe do­vuto testimoniare con­tro i boss di Alca­mo, Melodia, che gesti­vano l’intenso giro di estorsioni a com­mercianti e im­prenditori. Gli stessi che poi non alzaro­no un fiato di indignazione dopo il suici­dio del collega.

“Il pensiero di dover te­stimoniare con­tro i presunti boss del rac­ket ad Alcamo lo atterriva, lo rendeva an­sioso e teso, anche se cercava di non far trasparire nulla per non fare preoccupare la fami­glia”, raccontò il figlio Isidoro. Non ebbe il coraggio di raccontare tutto, si sentiva solo, Stellino. E poco dopo, Al­camo tor­nò nel suo silenzio dei taglieg­giati. E nel frastuono delle sirene delle varie opera­zioni antimafia, che via via decapitavano i clan.

L’ultima operazione antimafia nella zona risale allo scorso giugno: “Crimi­so”. Furono arrestate 12 persone accusate di associazione mafiosa, estorsione ag­gravata, incendio aggravato, violazione di domicilio e violazione delle misure di sorveglianza speciale. In cella sono finiti anche tre imprenditori.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato, e dai pm Paolo Guido, Mar­zia Sabella, Carlo Marzella e Piero Pado­va, ruotava attorno alle cosche del man­damento mafioso di Alcamo e dei clan di Castellammare del Golfo e Calatafimi. Dall’inchiesta, che ha portato alla scoper­ta dei vertici delle cosche, è emersa una spaccatura all’interno della famiglia ma­fiosa di Castellammare: un gruppo di uo­mini d’onore che faceva riferimento a Diego Ruggeri, pregiudicato e sorveglia­to speciale, avrebbe preteso il pizzo sen­za chiedere l’autorizzazione al capomafia Michele Sottile che, per “anzianità”, sa­rebbe stato il capo naturale del clan.

Per evitare che scoppiasse una guerra di ma­fia e dirimere le controversie da al­tri due uomini d’onore coinvolti nel blitz, Anto­nino Bonura e Rosario Leo, venne con­vocata una riunione tra i vertici delle fa­miglie di Alcamo, Castellammare e Ca­latafimi.

Diverse le estorsioni emerse dall’inchiesta: i clan riscuotevano il pizzo da ristoranti, bar, imprese di costruzioni facendo precedere le richieste estorsive da danneggiamenti e attentati incendiari. Oltre a chiedere somme di denaro alle vittime, i boss imponevano assunzioni di loro protetti e costringevano professioni­sti – è il caso di un dentista – a rinunciare al pagamento delle parcelle per cure fatte a un complice del capomafia Diego Rug­geri. Gli inquirenti hanno anche scoperto un tentativo della famiglia mafiosa di Al­camo di ottenere il monopolio del com­mercio di calcestruzzo imponendo alle imprese di acquistarlo da ditte vicine ai clan. 

È un laboratorio il territorio di Alcamo. Le forze dell’ordine, dal canto loro, fanno per il momento quello che possono: il controllo del territorio. Con grandi sforzi, data la scarsità di mezzi e uomini, i Cara­binieri hanno passato al setaccio abita­zioni di pregiudicati e sorvegliati specia­li, messo posti di blocco, aumentato le ronde nel vastissimo territorio di mezzo tra le province di Palermo e Trapani. Per scongiurare quel ritorno al passato.

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