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Come fosse oggi

30 settembre: tre storie, dal 1967 al 1996, di violenza politica e ‘ndrangheta

30 settembre 1967, una bomba irredentista sul treno Alpen Express

Furono funerali di Stato, quelli celebrati il 2 ottobre 1967 per il brigadiere della polizia ferroviaria Filippo Foti e per il suo collega, la guardia scelta Edoardo Martini. Il primo era nato a Syracuse, a Syracuse (New York), nel 1916, dove i genitori erano emigrati da San Leo, in provincia di Reggio Calabria, e in Italia ci era tornato nel 1940 decidendo che la sua carriera sarebbe stata nelle forze dell’ordine. Il secondo, invece, era un po’ più giovane (classe 1923), veniva da Vicenza e indossava una divisa dal 1948.

Il giorno in cui morirono, il 30 settembre 1967, prestavano entrambi servizio al posto di polizia della stazione di Trento, dove giunse una soffiata: sul treno Alpen Express, partito qualche ora prima da Innsbruck c’era dell’esplosivo custodito all’interno di una valigia. Autori dell’attentato erano i militanti del Befreiungsausschuss Südtirol, quelli che volevano che l’Alto Adige fosse staccato dall’Italia e annesso all’Austria, in forza della loro cultura teutonica.

Così, appena ricevuta la segnalazione, Foti e Martini intervennero: fecero fermare il treno, iniziarono a cercare negli scompartimenti e alla fine trovarono la valigia, posizionata in un antro appartato, dove non rischiasse di essere troppo notato. La prelevarono, la portarono via e giunsero in una zona nei pressi dello scalo merci, dove non potesse arrecare danno ad alcuno. Ma non fecero in tempo a posarla a terra e ad allonarsi che l’ordigno deflagrò, uccidendo i due militari sul colpo.

30 settembre 1977, Walter Rossi: e a Roma è di nuovo violenza politica

Walter Rossi, al volantinaggio del 30 settembre 1977, non poteva mancare per nessuna ragione. Il giorno prima una militante romana, Elena Pacinelli, era stata colpita da tre proiettili mentre manifestava con altre persone di fronte a una casa occupata del Trionfale e in risposta si era deciso di andare alla Balduina, dove si concentravano molti sostenitori del Movimento Sociale, perché a loro era attribuita la paternità di quell’aggressione.

Al volantinaggio aveva aderito anche Lotta Continua, a cui Walter apparteneva, e con molti altri ci si radunò in viale delle Medaglie d’Oro, a poca distanza da una sezione del Msi. Il clima era tesissimo e lo diventò anche di più quando dalla sede del partito di destra uscì un gruppo di giovani che, pistole alla mano, puntò sugli estremisti di sinistra insieme a un blindato della polizia. I rossi ripiegarono verso via Duccio Galimberti lanciando sassi a cui seguirono colpi d’arma da fuoco sparati contro di loro.

Uno di questi raggiunse Walter alla nuca. E la morte del giovane di Lotta Continua non fu l’unica perché il giorno successivo, il 1 ottobre 1977, se ne dovette registrare un’altra, a Torino, questa volta. Qui infatti morì uno studente universitario, Roberto Crescenzio. Si trovava dentro il bagno dell’Angelo Azzurro, un locale bersagliato da bombe molotov che andò a fuoco.

30 settembre 1996, Antonino Polifroni

Antonino Polifroni, 49 anni, nella sua vita da imprenditore edile ha sempre detto di no alla ‘ndrangheta. Lo ha fatto all’inizio della sua carriera, negli anni Sessanta, quando si era aggiundicato i primi appalti nella Locride e non smise mai di dare sempre la stessa risposta. Non importava quando potesse costargli e nel corso degli decennni gli era costato moltissimo. A causa del suo ostinato rifiuto a pagare il pizzo alla criminalità organizzata, infatti, si era visto succedere un po’ di tutto.

C’erano state le telefonate anonime e le minacce esplicite, i colpi di fucile esplosi contro i vetri delle finestre di casa e i roghi all’interno dei cantieri della sua azienda. E c’erano state anche le aggressioni. Il picco, da questo punto di vista, lo si era raggiunto nel 1992 quando, davanti alla sua abitazione, aveva subito il primo attentato vero e proprio, quello che avrebbe dovuto ricondurlo a più miti atteggiamenti nei confronti degli estorsori.

Ma niente, anche stavolta gli emissari della ‘ndrangheta si erano visti opporre sempre la stessa risposta: no. Un no che non cambiò nemmeno quando si tentò di modificare la tipologia dell’estorsione, cercando di obbligare Antonino non più a pagare in denaro, ma a usare come fornitori di materie prime aziende di emanazione mafiosa. Niente neanche stavolta. E allora giunse la condanna a morte, eseguita il 30 settembre 1996 a Varapodio, in provincia di Reggio Calabria, da un commando composto da quattro uomini. Lo Stato, dal canto suo, dopo non essere riuscito a proteggerlo, lo avrebbe dichiarato post mortem “vittima innocente della criminalità organizzata”.

Aggiornamento del 6 ottobre 2013: grazie a Filippo Mazzoni per il fixing sulla vicenda di Walter Rossi.

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