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Come fosse oggi

17 ottobre 1984, l’insubordinazione dei fratelli Quattrocchi

Erano dei commercianti di carne, i fratelli palermitani Cosimo e Francesco Quattrocchi. E la loro colpa fu quella di non voler rispettare una filiela, comprandosi in proprio i cavalli che poi avrebbero rivenduto a pezzi nella loro macelleria. Per farlo dovevano bypassare gli intermediatori catanesi che gestivano quel commercio e rivolgersi direttamente ad allevatori e macellatori pugliesi che avevano individuato come loro potenziali fornitori di fiducia.

La loro attività, la bottega che si trovava nel quartiere di Ballarò, in via Naso, ne avrebbe beneficiato e i fratelli Quattrocchi si erano attrezzati con rimorchi per il trasporti degli animali vivi e macellatori a cui rivolgersi che avrebbero consegnato loro le parti di carne così come veniva chiesto dai clienti. Credevano, a torto, i commercianti di Palermo che le famiglie di Catania se ne sarebbero state tranquille anche perché le indagini dell’antimafia stavano portando ad arresti su arresti.

Ma non avevano fatti i conti con boss come gli Zanca, i Vernendo e i Marchese. Boss che decisero, nonostante tutto, di non poter tollerare quell’atto di ribellione alle leggi imposte da cosa nostra. Così il 17 ottobre 1984, dopo che i macellai Quattrocchi avevano fatto arrivare nelle stalle di Cortile Macello sedici bestie, Cosimo e Francesco si trovarono di fronte due uomini armati che affrontarono loro due più altre sei persone, un nuovo socio e cinque lavoratori. Fu una mattanza, un’esecuzione collettiva, dato che le vittime furono trovate ognuna con un colpo in pieno volto e uno nel cuore.

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